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ENERGIE POSITIVE

Cop 26: com'è andata a finire e quali sviluppi ci attendono

18 Novembre 2021
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C'è chi l'ha definita "un fallimento", chi "una delusione", chi aveva troppe aspettative e chi era già deluso in partenza: la Cop26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, si è svolta a Glasgow nel Regno Unito dal 31 ottobre al 12 novembre e si è distinta per le posticipazioni legate alle pandemia, le polemiche sorte ancor prima del suo inizio e un finale che ha lasciato quasi tutti con l'amaro in bocca.

Ma come sono andate esattamente a finire le cose?

Innanzitutto, se si prendono in considerazione gli obiettivi della conferenza, possiamo dire che, com'era prevedibile, le aspettative di chi guardava con speranza a questo evento siano state in gran parte deluse: non si è riiusciti a rinnovare i piani di riduzione delle emissioni dei vari paesi e il discorso è stato rimandato al prossimo anno alla Conferenza che si terrà in Egitto.

Tenere vivo l'1,5 °C

L'obiettivo generale dell'Accordo di Parigi sul clima, quello di “tenere vivo l’1,5 °C” (cioè limitare l’aumento delle temperature globali medie sotto 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali) appare sempre più irraggiungibile: secondo le proiezioni della Commissione per la transizione energetica internazionale, riportate dalla BBC, le strategie stabilite finora permetteranno di mantenere l’aumento delle temperature medie globali solo sotto i 2,4 °C, dal momento che eventi meteorologici estremi (come alluvioni, incendi e ondate di grande caldo) si verificano sempre con maggiore intensità e che il processo di scioglimento dei ghiacciai sta subendo una forte accelerazione. 

Combustibili fossili: delusione o passo avanti?

I toni della conferenza si sono poi fatti caldi riguardo la produzione di energia elettrica col carbone e i finanziamenti per i combustibili fossili. Negli ultimi giorni della conferenza, sono uscite 3 versioni degli accordi. La prima bozza parlava di «eliminare gradualmente l’uso del carbone e i finanziamenti per i combustibili fossili». La seconda bozza, circolata poco dopo, ridimensionava l’impegno e la versione finale ha proprio cambiato i termini dell'accordo: non si parla più di eliminare gradualmente l’uso del carbone, ma di «ridurlo gradualmente». In inglese, la locuzione utilizzata inizialmente “phase out” = "eliminare" è stata sostituita da un'altra simile nella forma ma diversa nel significato "phase down" = "ridurre". La modifica è stata richiesta dai grossi paesi utilizzatori di carbone come Cina e India, ed è stata duramente criticata da altri Paesi. Ecco perchè in tanti hanno parlato di fallimento e delusione.

Va riconosciuto, però, che questa è la prima volta, nella storia della conferenza ONU sul clima, in cui negli accordi finali vengono citati i combustibili fossili e la necessità di ridurne l’utilizzo. Potrà sembrare una paradossale assurdità ma finora gli accordi finali sul clima non contemplavano in alcun modo questo tipo di impegno!

Deforestazione, emissioni di metano e auto elettriche

Tra le note positive di questa conferenza c’è un accordo importante, firmato da oltre 100 paesi che promettono di fermare la deforestazione entro il 2030.

108 paesi, tra cui Stati Uniti ed Europa, hanno invece firmato un accordo per impegnarsi a ridurre del 30 per cento le emissioni di metano entro il 2030. Naturalmente, l'accordo non è stato firmato da alcuni grossi paesi produttori di metano, come Cina, India e Russia.

Un altro accordo, firmato da 22 paesi, prevede che tra il 2035 e il 2040 tutti i nuovi autoveicoli venduti saranno elettrici: non è stato firmato però dai principali paesi produttori di auto, come Germania, Giappone, Stati Uniti e Cina rivelando gli scetticismi delle Case automobilistiche, in parte legate alla mancanza di infrastrutture per l'elettrico in alcune aree del mondo e in parte alla crisi del settore delle componentistiche (L'Italia non ha firmato per questo motivo, ad esempio).  Più in generale sembra però rivelare la parte più fragile di una rivoluzione in cui ancora non si crede pienamente per motivi economici ed ambientali. 

Danni dovuti al cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo

Un altro passaggio importante è stato fatto sul tema di perdite e danni causate dal cambiamento climatico, dovute nello specifico agli impatti di eventi meteorologici estremi. Si è ribadita l'urgenza di incrementare il supporto tecnologico e finanziario volto a prevenire, ridurre al minimo e affrontare le perdite e i danni associati al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo, tra i più vulnerabili (ed in alcuni casi anche esposti) agli effetti negativi del surriscaldamento globale.

Nel 2009 alla COP di Coopenaghen i paesi ricchi avevano promesso lo stanziamento di 100 miliardi di dollari annui per ridurre le emissioni e affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici nei paesi più poveri. La promessa non è stata mai mantenuta. I fondi percepiti da questi paesi sono stati meno del previsto e utilizzati prevalentemente per progetti sullo sviluppo di energie rinnovabili, che però già di per sé (se fatti bene) generano profitto e si finanziano da soli. L'esigenza più forte è invece quella di poter realizzare più progetti di adattamento e riduzione dell’impatto del cambiamento climatico, che rappresentano il prezzo più alto da pagare per i paesi in via di sviluppo.

La necessità di un cambio netto a favore delle rinnovabili

Alla luce di quanto accaduto alla Cop26, per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi sul clima si conferma sempre più cruciale un cambio di paradigma con il dirottamento degli investimenti dei governi e delle aziende sulle rinnovabili, per produrre valore economico e ridurre le emissioni, e una riduzione sempre maggiore della produzione di combustibili fossili. Speriamo in maggiore fermezza e coraggio in tal senso per la prossima Conferenza. 

 

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